Giuseppe Pinto, La consolatrice molesta

La Consolatrice molesta

Guillermina De Gennaro utilizza la propria condizione quale metodo per sviluppare una riflessione che, sebbene aperta e universale, resta del tutto intima e personalmente poetica.
Anche in questa occasione continua la sua esplorazione delle forme e dei confini della memoria personale che spesso la riportano nella sua amata Argentina sulla quale, non a caso, aleggia lo spirito dalla “memoria infinita” di Ignazio Fures .
In Paso Doble il movente è un’indagine intorno ad un’entità di difficile decifrazione come l’ombra proiettata dal corpo umano e le inevitabili implicazioni che essa ha con l’idea di doppio. Una “materia” piena di concatenazioni simboliche, artistiche e filosofiche che si perdono nel tempo, “Questo rovesciandosi è quello”.
Lavorando sulla memoria, l’immaginazione consacra l’ombra a poesia della mente.
Le silhouette si dispongono leggere sul bianco, luogo del divenire e della ricognizione. La memoria come traccia si perde nelle trame delle pennellate effimere e precarie quasi come l’essenza dell’ombra stessa.
Gli acquerelli si adeguano in spazi decentrati, non convenzionali all’esposizione della “cosa” d’arte, prediligono gli angoli o i luoghi appartati, quasi rifuggono dalla frontalità. Trovandosi esposti al di fuori dei propri limiti, sul bordo estremo di una domanda a cui non c’è alcuna risposta, l’opera scopre così di essere condannata a un’interrogazione infinita.


“Un giorno, pensando al corpo umano inteso come ingombro nello spazio, ho immaginato che potessero uscire da me e da casuali passanti, tanti cloni che via via si posizionavano nello spazio entrando in possibili angoli, nicchie, spigoli, in proiezioni immaginarie allungate che nelle nostre case sono disegnate dalle geometrie delle architetture, dai soffitti, dai pavimenti, dai muri, un probabile attraversamento dello spazio visibile, sguinzagliando violentemente le ombre di questo pensiero”. G.D.G.

L’opera nasce da un sistematico rimescolamento degli elementi sedimentati nella memoria. Questa operazione combina simultaneamente un’intima prossimità e una distanza irriducibile. Nessun inizio e nessuna fine. Si serve di elementi conosciuti, ma infondo sconosciuti nella loro totalità. Una prassi rituale che richiede pazienza e tanto tempo per realizzare poeticamente che “Uno più Uno fa Uno”
Il senso è anche quello di un’evidente avversione a un sistema che presuppone la velocità quale unica possibilità esistenziale, il consumo come solo segno di un’esistenza che, al contrario, necessita di riappropriarsi di un proprio tempo riflessivo, in cui riallacciare i rapporti con se stessi. Questo rappresenta una possibilità non solo esistenziale ma filosofica e culturale, possibile via di fuga e capacità di generativa.

Giuseppe Pinto
Curatore indipendente