Pietro Marino, Un certo sguardo

Un certo sguardo

Lacrime di letteratura e di cinema sono state sparse, abbondanti e toccanti, sul tema dell’esilio, dell’emigrazione, dello strappo dalle proprie radici. Altrettanto a lungo ha vibrato la corda del nostòs, del ritorno, da Ulisse in poi.
Ma non sapeva né di esilio né di ritorno, la bambina di 7 anni che lasciava la terra dove era nata per andare nella terra sconosciuta dove erano nati i suoi genitori.

Per lei era il viaggio, che come la vita non sai dove ti porta e quando finirà. Non staccò gli occhi dal finestrino del bus finché non scomparvero la casa dei suoi giochi alla periferia di Buenos Aires, e senza fine fu lo sguardo perso nell’orizzonte marino sulla grande nave che la portava in Italia.

Adiós, Argentina.

Quello sguardo dolce e assorto, lo sguardo di chi vuole capire e capirsi, emerge ora in un viso di giovane donna di etnia lontana, che sa di Oriente Estremo. Una confessione autobiografica che si reincarna in tutte le donne, tutte le creature nel mondo della dispersione e della diaspora. Ripetizione differente sino all’ossessione, che si rifrange e si moltiplica con lievi spostamenti di corpo, con dettagli di identità mutevole: quel che consente il nostro tempo della omologazione.
Quegli occhi ci interrogano da pannelli sparsi, ritagli di un mosaico che ripete le sue tessere senza sapere come ricomporle. Immagini fissate da una sinopia fotografica, l’incontro casuale con una figura di giornale, precaria traccia di ancoraggio alla quotidianità. Ma poi possedute e immerse nel bagno pallido di una pittura esatta e malinconica insieme, sospesa senza spessore sulla soglia trepida della memoria.

Memoria come filo di un viaggio erratico nel senso di sé, a bordo di una nave fantasma, che appare anch’essa a parete in colori smangiati, come il Rex nell’Amarcord di Fellini.
E’ il viaggio che tenta Guillermina de Gennaro, ora che la sua vita è maturata nella periferia di un altro Sud.

Ma non seguendo il flusso proustiano del tempo, un sentiero che la crisi della modernità ha interrotto (come suggerisce Heidegger): cogliendone i frammenti oggi possibili, raccogliendone i grumi, le voci, là dove l’infanzia perduta può rivivere, almeno come finzione, nel presente. Così l’artista tira fuori dalla caverna platonica le ombre di un gruppo di musicisti che lei ascoltava nell’infanzia argentina.
Il padre Francesco, lo zio Domenico, l’amico Mario, che nel tempo libero andavano con chitarra e bandoneon e maracas per matrimoni e serenate, a suonare e cantare tanghi e boleros, waltz e zamba.
Il viaggio e il tempo hanno dissolto il trio Los Petalos.

L’amico se ne andò negli Stati Uniti. Papà e zio, da quando sono finiti a Bari, avevano riposto i loro strumenti.
Un video li spia ora mentre riaccordano la musica, e il trio è diventato per magia di generazioni un quartetto,
C’è il figlio di zio Domenico e c’è lei, Guillermina, la bambina cresciuta che si presta al canto.
Quasi un remake patetico con ricambio parziale di attori, ma comunque i tempi si mescolano, turbata è l’innocenza antica. Tutto si dà ma nulla è come prima, in questa rappresentazione di un sogno d’infanzia che passa. Come tutti i sogni, presto svanirà in bianco e nero.
E svaniscono i brani di danza popolare sudamericana che s’insinuano negli spazi e percorsi della mostra, quasi che Los Petalos stiano ancora passando di qui, con le loro serenate.

Sul leggìo di papà Francesco appare per un attimo il titolo di una canzone, “Que nadie sepa mi sufrir”.
Che nessuno sappia del mio dolore.

PIETRO MARINO
Critico d’arte

Giusy Caroppo

Ho incontrato Guillermina De Gennaro molti anni fa. Scrivevo di quello che, per me, è stato un colpo di fulmine tra curatore e artista: “…fuori dai circuiti convenzionali si finisce sempre per trovare qualcosa di buono…”. La incontravo “tra le architetture bianche della graziosa Terlizzi, in una palazzina antica: come segno distintivo, una maestosa bifora…”, scrivevo.  Presentata da Cinzia Cagnetta, padrona di casa della galleria Omphalos, scoprivo una deliziosa mostra a cura di Pietro Marino, ricca di suggestioni visive e sonore,  Adiós”.

Una mostra complessa, e insieme leggera, già densa di temi – l’addio, l’allontanamento, la dimora – che diventeranno una sorta di ossessione tematica per Guillermina De Gennaro.

Una speciale nostalgia di cui è permeata tutta la sua produzione, senza che si ceda al patetismo dalla vena tragica. Un nostos che Guillermina trasferisce in colori pallidi e contorni accennati. Che accentuano un senso di sospensione: la sua cifra stilistica.

Dipinti digitali offerti al pubblico attraverso lo strumento della ripetizione, anzi della “finta” ripetizione, razie alla distinzione di piccoli dettagli – tra figurazioni simili – lì dove vibrano le patine lucide o opache, quasi impercettibili, della pittura a tecnica mista, da lei fotografata e rieloborata con mezzi digitali, riconoscibile nei colori pallidi, così come negli oggetti del nostos: che sia volo regolare di stormi di uccelli,  sagome di navi che salpano, biancore di approdi irraggiungibili, sguardi ammalianti e languidi di donne orientali o di adolescenti nell’attimo del passaggio all’età adulta.

È la memoria a reggere il gioco.  Una memoria che sovrappone anche tempi e spazi. Ed è accompagnata dalla musica, sempre. Tutto è assurdo e niente è particolarmente definito, nelle vecchie e nuove opere di Guillermina. Allora, è un personificazione della memoria? Anch’essa incerta per natura, meticcia come le enigmatiche ragazze dagli occhi a mandorla, che ritornano nei cicli di opere più noti o nel lento fluttuare dei volti multicolori, e così diversi ma unificati dalla profondità dello sguardo, di “Volver sin Volver – Tornare senza tornare”.
“Volver sin volver” è l’opera che mi ha vista quasi identificare con la ricerca di Guillermina. dapprima nella darsena del Forte a mare di Brindisi per Intramoenia Extra Art.

Poter – insieme – studiare un luogo magico e definirvi una situazione e soluzioni tecniche per questa visonaria installazione galleggiante, dove il fluire incessante dell’acqua contrasta la staticità “impossibile” degli imponenti ritratti galleggianti, senza approdo, e si accompagna al violoncello di Giovanni Sollima.  Un’opera che nasce da uno stato d’animo, come lei stessa sostiene. “L’elemento acqua, nella sua versione olistica, il mare, diventa luogo di transito, in cui milioni di speranze sono annegate negli ultimi anni”.  Ed è nel Porto di Rotterdam, dopo essere stata presenza dirompente in Puglia,  che approda – la mostra fluttuante di Guillermina De Gennaro, nel bacino del Wilhelminapier; progetto speciale con cui INTRAMOENIA EXTRA ART, col marchio WATERSHED, migra in acque olandesi: è un’immersione nel mare del passato, un ritorno simbolico e onirico alla terra dell’infanzia, vissuto attraverso le immagini; ma anche la rappresentazione di quel nomadismo antico, eppur contemporaneo, che unisce generazioni ed etnie, un tentativo di visualizzare il sentimento del viaggio, del coraggio e del non ritorno. Un’opera che incarna perfettamente quel mix di culture con cui il progetto europeo “Watershed”  – vincitore nel 2012 del “Programma Cultura” della Commissione Europea – è salpato verso nord, in nome di un’osmosi tra realtà differenti con un’attenzione specifica all’ attrattività paesaggistica e all’identità locale. Un progetto incentrato sul delicato tema dell’acqua, nel quale l’opera di Guillermina De Gennaro diventa uno dei migliori esempi di opera versatile, poliglotta, perfetta sintesi e portavoce di quell’idea, sempre attuale, che si muove agilmente tra differenti dimensioni culturali, geografiche e sociali, caratteristiche del museo temporaneo promosso da “Intramoenia Extra Art”. Per questo siamo così vicine, io e Guillermina De Gennaro, il curatore e l’artista. Siamo sulla stessa onda.

Giusy CAROPPO
Curatrice indipendente

Rosalba Branà, Dir. Fondazione Museo Pino Pascali, Le Neo-Nature della bio-diversità

Neo-Nature della bio-diversità

Il lavoro di Guillermina De Gennaro, mette in scena soggetti de-territorializzati e, attraverso un lavoro sull’identità propria ed altrui, indaga sulle verità nascoste in ognuno di noi.
Componente principale della sua ricerca per molti anni è stato il ’ritratto’ inteso come mezzo rivelatore dell’anima; l’aspetto diafano dei suoi volti (fotografie o acrilici) acuisce il senso di ‘remoto’ e ‘lontano’, importanti parole-chiave della poetica della nostra artista.

Con il ciclo “Neo-nature”, intrapreso da qualche anno, l’artista abbandona al proprio destino e al mutare del tempo i volti a lei cari, che fluttuano e galleggiano sull’acqua o tra rami e foglie naturali quasi andassero alla deriva e verso l’oblio della memoria.
Il rapporto Arte-Natura si ripropone costantemente nella storia dell’arte in generale, negli Anni Ottanta si sviluppa la corrente Art in Nature che vede in Vittorio Fagone, uno dei principali teorici, al centro temi inerenti quali l’ecologia, la sostenibilità e i processi di vita che caratterizzano ogni forma vivente. Tale movimento mostra un’attitudine verso la natura differente dalla Land Art, in esso l’artista sente e ricerca una relazione di alleanza con l’ambiente naturale, superando la concezione di dominio dell’uomo sulla natura. Artisti come Nils-Udo, Andy Goldsworthy, David Nash ed altri, vivono il fare dell’arte con e nella natura, vogliono provocare un cambiamento nel pensiero collettivo rivolto all’ambiente naturale, utilizzando l’arte come mezzo per comunicare con la società.

Per la De Gennaro l’epoca in cui viviamo segna una nuova possibile alleanza tra l’uomo e la natura: non opposizione tra essere umano ed ambiente, ma l’aprirsi ad una  visione in cui l’ambiente condiziona l’esistenza umana, e quest’ultima, viceversa,  perfeziona e nobilita l’ambiente con la sua attività creativa, produttiva e responsabile. L’essere umano va raccontato non separato dal  mondo naturale ma quale parte integrante. Viviamo dunque in un mondo di materia, con un corpo di materia organica e la natura deve essere la nostra compagna.
Le opere del ciclo Neo-Nature sono eseguite sempre site-specific in luoghi quali spazi aperti eperiferie metropolitane, orti botanici, stagni, parchi marini, anse di fiumi e porti, ma anche estreme periferie urbane lasciate al degrado, l’intento è con-fondere arte e impegno sociale ed ecologico.

Altra categoria indagata dalla nostra artista è il concetto di ‘temporalità’: è il tempo che modifica l’opera. Lo sviluppo e la caducità della materia organica delle piante e arbusti con cuila De Gennaro intrappola le sue immagini fa sì che queste acquistino con il passare del temposembianze sempre diverse. Opere che sfuggono volutamente alla mano dell’artista evivono di vita propriari creando luoghi emozionalidi forte intensità.

Guillermina attribuisce alla percezione sensoriale e all’interazione con chi guarda, una grande importanza: guardare, toccare le foglie, sentire i profumi della terra fresca e dei germogli, ascoltare il suono dell’acqua, il movimento delle onde… Poiché le Neo-Nature prima ancora che visivamente si impongono per una connotazionespirituale e tattile, per una conciliazione  tra spirito e materia, tra universale e particolare, tra pensiero e sensibilità.

Rosalba Branà
Direttrice Fondazione Museo Pino Pascali

Giuseppe Pinto, La consolatrice molesta

La Consolatrice molesta

Guillermina De Gennaro utilizza la propria condizione quale metodo per sviluppare una riflessione che, sebbene aperta e universale, resta del tutto intima e personalmente poetica.
Anche in questa occasione continua la sua esplorazione delle forme e dei confini della memoria personale che spesso la riportano nella sua amata Argentina sulla quale, non a caso, aleggia lo spirito dalla “memoria infinita” di Ignazio Fures .
In Paso Doble il movente è un’indagine intorno ad un’entità di difficile decifrazione come l’ombra proiettata dal corpo umano e le inevitabili implicazioni che essa ha con l’idea di doppio. Una “materia” piena di concatenazioni simboliche, artistiche e filosofiche che si perdono nel tempo, “Questo rovesciandosi è quello”.
Lavorando sulla memoria, l’immaginazione consacra l’ombra a poesia della mente.
Le silhouette si dispongono leggere sul bianco, luogo del divenire e della ricognizione. La memoria come traccia si perde nelle trame delle pennellate effimere e precarie quasi come l’essenza dell’ombra stessa.
Gli acquerelli si adeguano in spazi decentrati, non convenzionali all’esposizione della “cosa” d’arte, prediligono gli angoli o i luoghi appartati, quasi rifuggono dalla frontalità. Trovandosi esposti al di fuori dei propri limiti, sul bordo estremo di una domanda a cui non c’è alcuna risposta, l’opera scopre così di essere condannata a un’interrogazione infinita.


“Un giorno, pensando al corpo umano inteso come ingombro nello spazio, ho immaginato che potessero uscire da me e da casuali passanti, tanti cloni che via via si posizionavano nello spazio entrando in possibili angoli, nicchie, spigoli, in proiezioni immaginarie allungate che nelle nostre case sono disegnate dalle geometrie delle architetture, dai soffitti, dai pavimenti, dai muri, un probabile attraversamento dello spazio visibile, sguinzagliando violentemente le ombre di questo pensiero”. G.D.G.

L’opera nasce da un sistematico rimescolamento degli elementi sedimentati nella memoria. Questa operazione combina simultaneamente un’intima prossimità e una distanza irriducibile. Nessun inizio e nessuna fine. Si serve di elementi conosciuti, ma infondo sconosciuti nella loro totalità. Una prassi rituale che richiede pazienza e tanto tempo per realizzare poeticamente che “Uno più Uno fa Uno”
Il senso è anche quello di un’evidente avversione a un sistema che presuppone la velocità quale unica possibilità esistenziale, il consumo come solo segno di un’esistenza che, al contrario, necessita di riappropriarsi di un proprio tempo riflessivo, in cui riallacciare i rapporti con se stessi. Questo rappresenta una possibilità non solo esistenziale ma filosofica e culturale, possibile via di fuga e capacità di generativa.

Giuseppe Pinto
Curatore indipendente

Maria Vinella, Fuerza en tus ojos

Fuerza en tus ojos

Sguardi languidi. Occhi persi. Visi sfocati. Donne che osservano. Donne osservate. Negli occhi – “Specchio dell’anima” – raffigurati da Guillermina De Gennaro è racchiuso un mondo. Anzi più mondi. Tanti quanti sono i pensieri. Mondi lontani e fuori dalla realtà quotidiana, fatti di memoria e di sogni, di desideri e di delusioni. Mondi misteriosi celati dietro uno sguardo, mondi che l’artista prova a svelare, sciogliendo con il pennello la patina della finzione e dell’esteriorità, del non-detto e delle convenzioni che avvolgono la vita.

Negli sguardi coraggiosi e fieri, timorosi e incerti, nostalgici e misteriosi dei personaggi ritratti dall’artista, incontriamo le tracce pallide dei ricordi, le tristezze degli abbandoni, le malinconie della lontananza, le fughe del rifiuto.

E ancora, sensazioni lievi e lievi emozioni, ombre fugaci e luci tremolanti che avvolgono i primi piani e i dettagli di visi. Nelle pitture e nei dipinti digitali realizzati su tela, su carta o su materiale plastico (in formati molto grandi o in sequenze di piccole dimensioni montate in suggestive installazioni spaziali), Guillermina De Gennaro accoglie la voce sommessa di confessioni visive autobiografiche e non, che assumono l’evanescenza di apparizioni incorporee, forme fluide e mobili, reali solo per pochi attimi e sempre pronte a svanire. Attraverso gli sguardi anonimi o noti di amiche e sconosciute, l’artista scopre la possibilità preziosa di fuggire il grigiore della realtà per entrare in una dimensione nuova fatta dagli spazi della riflessione e dai luoghi del sentimento. Gli occhi diventano così, una magica porta per accedere, senza disturbare, nell’intimo mondo dell’altro/a, nel suo passato e nel suo sogno di futuro. Difatti, nel racconto generato dal muto dialogo di sguardi, si nascondono mille e mille storie fatte di energie inespresse e di vitalità implose, di creatività negate e di potenzialità taciute.  Questo viaggio nel mondo dell’oltre e dell’altrove non assume i connotati della fuga, ma quelli della ricerca, una ricerca faticosa e lenta, che ad ogni ostacolo rafforza la viaggiatrice e ad ogni tappa le arricchisce.

Soprattutto nei paesaggi emotivi dei non-luoghi della memoria, l’artista, nata in Argentina e italiana d’adozione, ritrova i propri pezzetti di vita, brandelli del ricordo attraverso i quali riesce ad aprire la soggettiva sensibilità estetica alla percezione collettiva, lì dove l’esperienza personale entra in dialogo con l’esperienza dell’osservatore, sino ad attribuire nuovo senso e nuovo significato simbolico alle visioni generali dell’arte.

Maria Vinella
Testo critico per mostra personale “Fuerza en tus ojos” – Spazio Artefuoricentro – Roma, 2006; Galleria “Museo Nuova Era” – Bari, 2007.

Nicola Zito, Nature englobes

Nature englobes

Nature always finds the way to emerge, to survive, to contrast physical attacks and to assert its simple but powerful vital energy. This truth can easily be defined as absolute, and is the assumption on which Guillermina De Gennaro has based the set of works she has created in connection with Inglobe, a project that encompasses and summarises her most recent research. 

«I’ve been thinking a lot about the land lately […] as a habitat, as our “dwelling”»; this was said in an interview in 2012 and has now been transposed into a series of works created using different mediums, from sculpture to video, from photography to installation.  This concretion also includes an evaluation of the present conditions of the plant kingdom, mostly due to human actions, also expressed in the same conversation connected with Volver sin Volver, an activity carried out for Watershed in the port at Rotterdam: «I feel very close to the land and I think about how it is being attacked by cement».

Starting from a careful study of the surrounding context, Guillermina De Gennaro traces her own representation of the dynamics that regulate (and increasingly destabilise) the balance between the natural and anthropic spheres, in an interaction, which only apparently assigns the roles of victim and tormenter, respectively. 

Observation of the relationship between and human activity starts from finding evidence of the former overcoming the suffocating preponderance of the latter in the city and outside the city. This catalyses creative dynamics that come together in an environmental intervention that the artist establishes like a genuine set, constructed with different visual and plastic means; within this, the two spheres do not simply co-exist, but collide to create a personal mise-en-scène.

The entire scene is dominated by climbing plants – especially the genetically strongest and most resistant like ivy, which tend to take possession of everything present, whether tangible or simply projected, creating a type of “perennial embrace” that causes other objects almost to disappear.

Following her Neo-Nature cycle, Guillermina De Gennaro further explores the Man-Nature relationship, but departs from her previous output with a change of perspective. The predicted “new possible alliance”, theoretically able to cancel the opposition between man and the environment, now transforms into a recognition of conflict, in which the progressive destruction of greenery is countered by the slow but inexorable action of plants, which have evolved in the attempt to survive in the concrete and iron urban jungle. 

Climbing plants become a symbol of the utmost contemporaneity and cover every element in the environment, gradually concealing everything. However, this is only the representation of  hypothetical revenge by the force of Nature, only partially supported by the investigations and explorations, motivated by the need to identify “wild forms of life”; although restricted  in narrow and improbable contexts, they have still managed to assert themselves, «to grow larger and spread in every direction».

Guillermina De Gennaro transports these developments from the outside to the inside and offers a personal perspective, enriched with a further element – Art – that she gives the same treatment. The casts of old or classical statues like the bust of Caesar and the Hermes of Praxiteles (god of Nature before the messenger of the gods), Michelangelo’s David    the model par excellence for comparison – rather than statuettes of the Madonna or other small sculptures, are “infested” in the same way as could happen to an anonymous wall in reinforced concrete.

The meaning is immediately understandable: Nature does not make any distinctions between works of art and any other kind of manmade creation. Nature’s instinct, the strength with which it fights to survive, has nothing to do with the aesthetic connotations of the manmade object; the same fate can befall a simple everyday object or the result of a sculptor’s artistic genius. 

A fate that the artist encloses in a small ecosystem where images of the natural world and that of man come together, solidifying into installations from which emerge all the paradoxes  underlying a relationship renewed through a mutual attempt to dominate, and which is one of the distinctive aspects of the Anthropocene, the present geological era entirely dominated by Man and conditioned by his decisions.

Inglobe is therefore the temporary endpoint of long and elaborate research, the convergence of elements from different fields of knowledge, from botany to art, from architecture to biology, and the prelude to future artistic ventures outside the narrow confines of an exhibition. This is the first stage in a new process that looks towards external contexts, to the urban spaces that are – as the artist says – “spots that we rush past every day without noticing them, but they are there, not moving, with all their extraordinary vitality”.

An energy which Guillermina De Gennaro transposes into this new production, making it flow in her installations and sculptures alike, in her video works and in snapshots of a transformed reality that rests on a special, cyclical balance between the contrasting but complementary forces that define “places in continual metamorphosis” in which Nature reasserts her own unstoppable power,  enveloping the bulky material created by man.

Nicola Zito
independent curator

Inglobe, plaster sculpture, ivy, wood, 45x20cm. 2017.

Inglobe

Inglobe

IT

La serie di lavori Inglobe nasce da una ricerca visiva in cui elementi naturali e oggetti prodotti dalla presenza umana si fondono in una ipotetica rivincita da parte della forza della natura.

Si tratta di creare dei veri e propri set, dove rami, piante, cespugli, fogliame di ogni genere, in particolare quelli forti e geneticamente più resistenti, si impossessano di ogni presenza che casualmente giace in quello stesso punto, creando una specie di avvolgimento, di abbraccio perenne fino quasi a far scomparire l’oggetto estraneo.
…nasce l’esigenza di individuare dei luoghi che abbiano naturalmente degli stati di vita selvaggia, che anche nel cemento o in situazioni anguste e improbabili, riescono a produrre vita, a crescere in dimensioni e a diramarsi in ogni direzione.
Potrebbero essere spazi urbani, situati in angoli che ogni giorno presenziano i nostri percorsi frettolosi e distratti, che risultano invisibili al nostro passaggio, ma che sono là, immobili, in tutta la loro straordinaria vitalità.
Angoli in continua metamorfosi.

 

EN

The Inglobe series of works was born from a visual research in which natural elements and objects produced by the human presence come together in a hypothetical revenge by the force of nature.

It is about creating real sets, where branches, plants, bushes, foliage of all kinds, in particular the strong and genetically more resistant ones, take possession of every presence that accidentally lies in that same point, creating a kind of winding, of perennial embrace until the foreign object almost disappears.
…The need arises in me to identify places that naturally have states of wild life, which even in concrete or in cramped and unlikely situations, are able to produce life, grow in size and branch out in every direction.
They could be urban spaces, located in corners that every day present our hasty and distracted paths, which are invisible to our passage, but which are there, motionless, in all their extraordinary vitality.
Corners in continuous metamorphosis.

Neonature, print on paper mounted on wood and floating support, 20x20cm, 2004.

Neonature

Neonature

IT

Il progetto “Neonature” è un percorso di lavori che contemplano un accostamento tra elemento visivo e natura vera e propria, intesa come acqua, come habitat, come terra, cioè tutti quei processi che appartengono al moto continuo della vita.

…ho realizzato fotografie, video e installazioni ambientali con un approccio riflessivo e suggestivo sul tema della salvaguardia del nostro Habitat, e delle possibili soluzioni che via via si potrebbero presentare.
A volte avviene che la forza vitale della natura prenda il sopravvento, avvolgendo tutto quello che giace sui suoi passi.
In un epoca storica in cui l’uomo ha maltrattato il proprio luogo protettivo, la propria casa, in ogni direzione, sfruttando fino all’ultima goccia, ogni risorsa possibile, mi è sembrato naturale essere dall’altra parte, dalla parte della natura.

Le Neonature mettono in scena soggetti de-territorializzati, e, attraverso un lavoro sull’identità di personaggi autobiografici e non, indaga sulle verità nascoste in ognuno di noi.
Il ritratto è rivelatore e l’autoritratto è una confessione che rimanda ai concetti di lontananza e di memoria. In questo ciclo di lavori, abbandono al proprio destino dei volti che fluttuano galleggianti sull’acqua o tra rami e foglie, andando verso la deriva della memoria.
Il rapporto con la natura è sempre stato importante nell’espressione artistica, e nella storia dell’arte, e oggi più che mai, i concetti di sostenibilità, ecologia, salvaguardia del pianeta ci chiedono di più:
Gli artisti sono sentinelle dell’ambiente, guardiani della terra.

Prendendo spunto dalle riflessioni dello scrittore Amitav Ghosh, mi sono sentita coinvolta quando afferma che gli artisti hanno il dovere di vigilare e di tutelare il patrimonio ambientale.
L’arte la musica, la letteratura, il cinema, dovrebbero farsi veicolo di espressione e comunicazione urgente per il deterioramento del nostro habitat.
I temi che appartengono alla produzione artistica devono incrociare questa tematica, facendosene carico, per sensibilizzare al massimo l’opinione pubblica che rimane spesso sopita e passiva di fronte a questi argomenti.
Il processo creativo può seguire diverse sequenze, dal disegno alla scultura, dalla fotografia all’elaborazione digitale, dalla parola alla forma, l’importante è essere dentro il problema, e darne dimensione divulgativa.

VolversinVolver,installazionegalleggiante,vedutaparziale,stampasuPvc-cm200x300cad,CastelloForteaMare-BRINDISI.2010

Volver sin Volver

Volver sin Volver

IT

L’installazione “Volver sin Volver” nasce da un sentimento.
L’elemento – l’acqua, nella sua versione olistica, il mare, diventa luogo di transito, dove negli ultimi anni sono sprofondate milioni di speranze.
La mia storia, lasciando la mia terra nella mia infanzia, è riemersa nella tragedia di milioni di vite perse nei nostri mari in questi ultimi decenni.

“Volver sin Volver” è un tentativo – attraverso volti ingenui, volti tristi e volti pieni di speranza – di visualizzare il sentimento del viaggio, del coraggio e del non ritorno.
GdG

 

EN

The installation “Volver sin Volver” springs from a sentiment.
The element – water, in its holistic version, the sea, becomes a place of transit, where millions of hopes have sunk in the most recent years.
My own story, leaving my land in my childhood, has re- emerged in the tragedy of millions of lost lives in our seas in these recent decades.

“Volver sin Volver” is an attempt – through naive faces, sad faces and faces full of hope – at visualising the sentiment of travel, of courage and of no return.
GdG

Doble Adios, mixed technique on canvas, 60x150 cad.

Adios

Adiós